IL PRETORE
    Ha  pronunciato  la  seguente ordinanza nel procedimento penale n.
 1113/1991 nei confronti di Saetta Giuseppe imputato del reato p. e p.
 dall'art. 589 del c.p.
    La  Corte  costituzionale  con  sentenza  del  26   giugno   1990,
 pubblicata  il 2 luglio 1990, ha chiarito che il rito speciale di cui
 all'art. 444 del c.p.p. non  esclude  che  il  giudice  eserciti  una
 funzione  giurisdizionale.  Ed  invero al giudice viene sottoposto un
 progetto (di sentenza), progetto che puo' accogliere,  assumendolo  a
 contenuto  della  propria  sentenza,  ovvero  procedere  nelle  forme
 ordinarie.
    Nel procedimento ex art.  444  del  c.p.p.  dunque,  anche  se  la
 decisione  non  si forma, come nel procedimento ordinario, sulla base
 della discussione, il confronto dialettico tra accusa e difesa non e'
 escluso, essendo il contraddittorio fra le parti garantito,  se  pure
 in maniera atipica, dall'accordo.
    Il  giudice,  da  parte sua, non e' vincolato alla richiesta delle
 parti, che puo' rigettare, ma  solo  in  quanto  ritenga  diversa  la
 qualificazione  del  fatto  e  con  le  parti  non concordi in ordine
 all'esistenza o meno di circostanze, al giudizio di  comparazione,  o
 (a seguito della citata sentenza) non ritenendo congrua la pena.
    Il  giudizio  sulla  responsabilita',  come  puo'  desumersi dalla
 citata sentenza,  deve  considerarsi  sostanzialmente  formulata  dal
 giudice  nel  momento  in  cui,  senza  che  la difesa intervenga con
 proprie deduzioni in ordine alla valutazione degli elementi in  atti,
 egli  valuta  se  pronunciare sentenza di proscioglimento ex art. 129
 del c.p.p. o applicare alla pena. (Sul punto vedi il seguente  passo:
 "va  richiamato  il  modello generale di sentenza in cui all'art. 546
 del c.p.p. e le prescrizioni della lettera e) del primo  comma,  dove
 si  esige  che  il  giudice indichi le prove che intende porre a base
 della  sua  decisione  ed  enunci le ragioni per le quali non ritiene
 attendibili le prove contrarie.  Dal  che  si  evince  che  anche  la
 decisione  di cui all'art. 444 del c.p.p., quando non e' decisione di
 proscioglimento,   non    puo'    prescindere    dalle    prove    di
 responsabilita'").
    Il  diritto  di  difesa  viene  quindi  garantito  in  ordine alla
 qualificazione del fatto, all'esistenza o  meno  di  circostanze,  al
 giudizio  di comparazione e alla determinazione della pena, ma non in
 ordine al giudizio di responsabilita', che non puo' essere oggetto di
 un accordo.
    E' ben vero  che,  come  esattamente  avverte  la  Corte,  bisogna
 guardarsi  dal  pericolo  di  confondere  il  diritto  di  difesa con
 l'assoluto diritto di esercitarlo. La rinuncia al diritto di  difesa,
 che  e'  una  facolta',  puo' pero' solo ammettersi all'interno di un
 procedimento e non puo' essere imposta dalla  legge  come  condizione
 per  accedere  ai  benefici  derivanti  dalla  attuazione  di un rito
 speciale.
    L'art. 24, secondo comma, della Costituzione definisce infatti  la
 difesa  diritto  inviolabile, in ogni stato e grado del procedimento;
 puo'  certamente  essere  limitato,  come  ad  esempio   nella   fase
 istruttoria,   dovendosi   intimamente   correlare,   come  e'  stato
 esattamente rilevato, alla natura dell'attivita' svolta, ma,  proprio
 per   questa   ragione,  non  puo'  essere  escluso  in  ordine  alla
 valutazione degli elementi su  cui  viene  affermata  o  allegata  la
 responsabilita'.
    E'  stato  rilevato  che  l'imputato  con la scelta di rito di cui
 all'art.  444  del   c.p.p.   non   nega   sostanzialmente   la   sua
 responsabilita'.  Cio'  non sembra pero' rilevante, poiche', se cosi'
 fosse, il giudice non potrebbe limitare il suo  giudizio  sulla  base
 degli atti, ma dovrebbe anche tenere conto di un comportamento avente
 valore  di  confessione  e  darne  conto  in  motivazione, il che' e'
 escluso dalla legge; in ogni  caso  la  confessione  non  costituisce
 prova  legale  e  pertanto,  anche in presenza di essa, il diritto di
 difesa deve essere ugualmente garantito.
    Va infine rilevato che la rinuncia al diritto di difesa  non  puo'
 essere giustificata dal fatto che la sentenza di cui all'art. 444 del
 c.p.p.  non  avrebbe  valore  di  vera  e  propria  condanna, essendo
 soltanto alla condanna equiparata.
    A prescindere infatti dal senso che puo'  essere  attribuito  alla
 equiparazione,   effetto   tipico   della  sentenza  di  condanna  e'
 l'applicazione ed esecuzione della pena, e tali effetti  ha  pure  la
 sentenza  ex  art.  444  del  c.p.p. La natura di quest'ultima non e'
 quindi  diversa,  anche  se  conseguono  per  legge  taluni   effetti
 secondari,  trattandosi  di  aspetti premiati al pari della riduzione
 della pena.
    Ritiene pertanto  il  decidente  di  riproporre  la  questione  di
 legittimita'  costituzionale dell'art. 444 del c.p.p. in relazione al
 solo art. 24, secondo comma, della Costituzione, non apparendo, sulla
 base delle superiori considerazioni,  irrilevante  (la  rilevanza  e'
 data  dal  fatto  che  e'  stata  formulata  a  richiesta  di un rito
 alternativo  regolato  dalla  norma  ritenuta   incostituzionale)   e
 manifestamente infondata la questione stessa.